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    Alessio Bondì – Nivuru

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    “Nivuru” è il titolo del secondo secondo album di Alessio Bondì, prodotto da Fabio Rizzo per 800A Records.
    In siciliano, “Nivuru” significa Nero ed è il frutto del vissuto e di tutti gli ascolti sedimentati a partire dal suo primo lavoro “Sfardo”.
    Da sempre il nero ha assunto un significato ambivalente, di eleganza o lutto, prosperità o abisso ma, scientificamente, si manifesta perché non respinge nessuna luce: le assorbe tutte senza rilasciare alcun colore.
    La tracklist è la narrazione di un viaggio dentro la freschezza e la sensualità della Sicilia, terra di origine dell’artista palermitano, tra ritmi vivaci e sospensioni improvvise.

    Dall’afro-funk alla musica brasiliana il sound di “Nivuru” è, oggi, più che mai articolato, ricco di percussioni e arrangiamenti sorprendenti, senza togliere spazio spazio a momenti in cui la chitarra e la voce vellutata di Bondì si prendono la scena.
    Un artista unico nel nostro panorama nazionale che è riuscito ad imporsi anche all’estero con il suo coraggio e personalità. Una voce che colpisce e rapisce al di là della comprensione del testo, un autore dal sangue misto che non a caso è stato definito “una via di mezzo tra Rosa Balistreri e Jeff Buckley”. Più Rufus Wainwright, Stevie Wonder e Caetano Veloso, aggiungeremmo noi.
    Tutti e nove i brani possono essere considerati canzoni d’amore, una sorta di fenomenologia del rapporto a due: dal corteggiamento (“Dammi Una Vasata”), alla fantasia di volare sul mare per azzerare la distanza dalla propria amata (“L’Amuri Miu Pi Tia”); dalle promesse di amore dal sapore antico per di dire “ti amo” (“Puddicinu a Luna”), al rapporto travagliato tra padre e figlio, ispirato dalla storia vera di un pilota palermitano di Formula 1 (“Un Favuri”) o a quello disastroso tra un voyeur e la donna desiderata (“Savutu”); dal maremoto che provoca la fine di una storia (“Si Fussi Fimmina”) all’isolamento che ne consegue (“Cafè”).

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    Angelo Daddelli & i Picciotti – Angelo Daddelli & i Picciotti

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    La piccola orchestra di folk siciliano de i Picciotti nasce nel 2014 a Palermo da un’idea di Angelo Salvatore Daddelli. L’organico è composto esclusivamente da strumenti acustici quali chitarra classica, contrabbasso, mandolino, mandola, friscalettu (il flauto di canna), tamburello, cianciane (cembali),fisarmonica e marranzano (scacciapensieri). Nei primi anni di attività la band si è esibita quotidianamente in strada, tra i vicoli, le piazze e i mercati rionali del centro storico palermitano. Da lì a poco comincia un periodo di intensa attività live nei locali e di impegno sociale al fianco delle diverse associazioni culturali che operano in città. Nel 2016 un’intera puntata viene dedicata ai Picciotti da Radio France International nel documentario Musique. RFI.FR, “Destination Palerme, le renouveau du friscaletto en Sicile” e partecipano al festival Ballarò Buskers di Palermo. Nel 2017 partecipano alla manifestazione Festibál – “Napoli Balla al Centro”. Nel 2018 si esibiscono per il documentario Palermo Arabo Normanna, Viaggio nella bellezza – Rai Storia e sono invitati in Francia al Festival International du Film Insulaire d l’île de Groixe; nello stesso anno esce il primo singolo “Comu si beddra”. Nel 2019 presentano al pubblico, presso l’Auditorium Rai di Palermo, lo spettacolo “Sciavuru di Sicilia” e nel mese di settembre collaborano con l’artista nigeriano Chris Obehi ne La siminzina per omaggiare la cantante Rosa Balistreri nell’anniversario della sua scomparsa. Sui propri canali web e social il gruppo ha raggiunto in pochi mesi numeri straordinari, con video di performance dal vivo che hanno raccolto più di un milione di visualizzazioni, segno del grande attaccamento alla musica della propria terra da parte dei siciliani nel mondo e della curiosità che suscita nel resto degli ascoltatori.

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    Aurora D’Amico – So many things

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    “So many things” è il diario personale di Aurora, “scritto in periodi diversi, in Paesi diversi e volutamente aperto al resto del mondo, con qualche segreto nascosto tra le righe e tantissime storie in cui spero anche altri riusciranno a rispecchiarsi. Un disco in cui si mischiano passato, presente e futuro; ricordi, dubbi e speranze. Così tante cose che si muovono a velocità diverse, ma che caratterizzano la vita di ognuno di noi allo stesso modo”, racconta la cantautrice.

    Composto da 10 brani folk rock, tutti scritti da Aurora, il percorso di “So many thing” inizia con “In the landscape” dal retro di una macchina in viaggio tra le campagne dello Yorkshire, in cerca della fortuna che molti cercano fuori dal proprio Paese. Ricerca che crea distanze che non si riescono più a riavvicinarsi in “Oceans between us”. Subito però arriva “Human being” un inno alla vita, per tutti coloro che non rinunciano a viverla nonostante le difficoltà e in “The one who fell instead” improvvisamente capisci come mai è andata così com’è andata. Il disco prosegue attraverso i mondi paralleli di “Rhythm and sound”, i continui viaggi in America di “A way for me”, il cambiamento di “Changing for you” e il racconto di una storia d’amore (“What you knew before”). L’album giunge al crepuscolo con la consapevolezza dell’importanza del saper rinunciare di “My heart, my mind, my hand”, ma con così tante cose da dire (la titletrack “So many things”) che, alla fine, “preferisco sedermi in silenzio sul pavimento e lasciare che sia la musica a parlare”.

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    Chris Obehi – OBEHI

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    “OBEHI”,  in lingua Esan significa “mani d’angelo”, ed è il primo album di Chris Obehi, nome d’arte di Christopher Goddey, nato in Nigeria nel 1998.
Durante l’infanzia viene introdotto alla musica gospel dalla famiglia. Nel 2015 fugge dal suo paese a causa delle persecuzioni religiose portate avanti da Boko Haram. Giunto prima in Libia, quindi a Lampedusa e infine a Palermo, dove stringe amicizie alle jam session facendosi notare come bassista. Qui intraprende gli studi di contrabbasso al conservatorio Alessandro Scarlatti e apprende da autodidatta la chitarra: nel frattempo matura grande interesse per la musica tradizionale siciliana, imparando le canzoni di Rosa Balistreri; nell’inverno 2018 un video nel quale suona “Cu ti lu dissi” raggiunge nell’arco di tre settimane quasi un milione di visualizzazioni. Nel dicembre 2019 vince la Targa Siae – Giovane Autore a “Musica contro le Mafie”. Nel gennaio 2020 vince il XIX Premio Rosa Balistreri e Alberto Favara.

    Questo album è una luminosa testimonianza di questo periodo storico che stiamo vivendo, la prima prova di un giovanissimo talento che cancella le distanze  e i confini tra la “casa Africa” e la “casa Sicilia”. Un viaggio tra pop, folk, afro beat, reggae che mette insieme influenze musicali di Tracy Chapman, Paul Simon, Bob Marley, Fela Khuti e che coabitano con l’interpretazione della canzone siciliana di Rosa Balistreri.  L’unico episodio in italiano è Non siamo pesci, nel quale Obehi racconta la propria traversata nel Mediterraneo: “E’ il mio inno per la difesa dei diritti umani, il mio modo di ricordare a chi ascolta di restare umani, di vivere liberamente nel rispetto degli altri e di abbattere confini di qualsiasi genere tra le persone.”

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    Sergio Beercock – Human Rites

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    “Human Rites è il titolo del secondo disco di Beercock, artista anglo-italiano che dopo l’esordio nel 2017 con Wollow ha deciso di spingersi oltre nell’esplorazione della voce e delle sue possibilità, lasciandosi influenzare da pop, soul, elettronica e gospel.

    Il disco è composto da undici tracce ed è costruito tutto su beat e influenze urban che incontrano e abbracciano la black music. L’apertura è affidata a “See You Around The Bend”, un brano sensuale e corale nel quale la voce, intesa come strumento musicale vero e proprio, si lascia rendere affascinante dalle sue mille sfumature che si accompagnano al movimento del corpo, unico vero habitat dell’uomo. Il corpo e la voce dunque, due linguaggi così umani e così artistici allo stesso tempo: la musica è la liturgia perfetta per esprimersi attraverso il loro codice dal potere universale. Beercock naviga in mezzo ad un mare di sensazioni, idee, emozioni, che assorbono il concetto musicale all’interno di una dimensione ancestrale, sacra, tribale, tra una “You And Your Nudity” in grado di sprigionare tutta l’umanità della poesia e una “Cling” che è un canto sulla separazione, uno dei temi chiave di questo 2020.

    Human Rites è un disco nudo, spogliato degli artifici sonori spesso confusionari e magmatici di questo periodo, ideato per restituire un ruolo di primo piano alla passionalità e alla potenza unica della voce.”

    Recensione di Marco Del Casale, su rockit.it

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    Sergio Beercock – Wollow

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    Sergio Beercock, nato a Kingston upon Hull in Inghilterra nel 1990 da madre siciliana e padre inglese, è un artista poliedrico che, nonostante la giovane età, si muove con disinvoltura tra musica e teatro. “Wollow” è il suo debutto discografico, al culmine di un periodo intenso che lo ha visto impegnato prima in tour teatrali con spettacoli molto apprezzati da pubblico e critica, e poi in una full immersion artistica che lo ha portato a concepire questo primo album.

    “Wollow” è un vero e proprio viaggio tra i luoghi, i suoni e i colori che più hanno influenzato Beercock: i borghi dello Yorkshire in cui è nato, i casolari rurali della Sicilia in cui è cresciuto, il riverbero delle Ande sudamericane che ha scoperto da adolescente, o i sobborghi urbani delle grandi città e le loro innumerevoli storie invisibili.

    Tim Buckley, Nina Simone, Pedro Aznar e Bert Jansch sono i primi riferimenti a cui si pensa ascoltando questo disco, nel quale gemme folk minimali come Reason, Pennies o Battle For Attention convivono con episodi più direttamente collegati alla tradizione inglese come The Barley And The Rye o Century, passando per le atmosfere nordiche di Naked e Beauty Of The Dirt e quelle più sudamericane di An Exaggerated Song, Jester e Silencio.

    Tutto questo è mescolato in un sogno in cui la voce a volte narra, a volte crea, a volte si comporta da strumento musicale per accompagnare l’ascoltatore verso un racconto intimo che in più di un’occasione all’interno del disco vira sorprendentemente verso l’allucinazione e la psichedelia.

    Sergio Beercock ha suonato pressoché tutti gli strumenti coinvolti nell’album: è arrivato in studio armato di guitalele e voce con l’intenzione di “fotografare” ciò che era avvenuto dal vivo nell’ultimo anno, nel quale in tanti in giro per la Sicilia si sono accorti del suo talento. L’incontro artistico con il produttore Fabio Rizzo (già al lavoro con Alessio Bondì, Nicolò Carnesi, Dimartino, il Pan del Diavolo, Fabrizio Cammarata e altri) ha però generato scintille inaspettate, che hanno rivelato un Beercock formidabile polistrumentista in grado di suonare dal charango al pianoforte, dal flauto boliviano ai synth, fino a percussioni di ogni tipo, compreso il proprio corpo.

    “Wollow” è stato prodotto durante un periodo di residenza artistica all’interno del nuovo spazio “Indigo Music” , creato da 800A Records insieme a un gruppo di professionisti della musica nella cornice di Palazzo Lampedusa a Palermo. L’uscita del disco è anticipata dal videoclip del primo singolo estratto, “Battle For Attention”, realizzato da Fabio Leone, Antonella Barbera e lo stesso Sergio Beercock.

    Credits:

    Testi e musica di Sergio Beercock, eccetto “The Barley And The Rye” (traditional) e “Silencio” (Pedro Aznar).

    Prodotto, registrato e mixato da Fabio Rizzo a Indigo, Palermo.

    Masterizzato da Andrea De Bernardi a Eleven Mastering, Busto Arsizio.

    Management & Booking: Oriana Guarino – oriana@indigomusic.it

    Ufficio stampa: Gabriele Lo Piccolo – info@gabrielelopiccolo.it – 3204424268